L'Io a confronto con l'inconscio
- lisamarchetta
- 7 set 2018
- Tempo di lettura: 3 min
Il primo viaggio psicodialettico è detto personale: esso consiste nell’attraversare i luoghi della propria interiorità, imparando a conoscerla.

Emozioni e pensieri guidano i nostri comportamenti senza che ce ne rendiamo conto e senza, apparentemente, poterci far nulla. “Sono fatto così” è la frase che sintetizza il bagaglio di schemi d’azione e di pensiero che crediamo di avere a disposizione in risposta agli stimoli esterni. Non conta quanti anni abbiamo, finché non ci si è soffermati sulla relazione con i genitori, essa agisce su di noi. Interiormente, come una forza di cui non si conosce l'origine, essa ci spinge a percorerre solchi sempre più battuti. Sono necessari anni di pratica continua, di un continuo percorrere a ritroso quei solchi, in cui ci chiederemo: “Cosa ho provato in quella situazione?” e “cosa ho pensato?”, “cosa mi ricorda?”, per slegare la nostra interiorità dalle reazioni dell'ambiente familiare. La nostra vita, prima e in parte anche durante questo lungo lavoro, assomiglia a una scatola giocattolo: carichiamo la molla e guardiamo dentro: i soggetti all’interno si comportano sempre allo stesso modo. La meglio, in questo eterno presente, ce l’ha la coazione a ripetere: l’insopportabile ripetere continuamente gli stessi errori o le stesse “buone azioni”. La frase “sono fatto così”, dev'essere sostituita da tanti dettagliati racconti sulle nostre reazioni agl’eventi interni ed esterni perchè il passato riposi in pace. Tanti racconti su di noi, fatti da noi, ci renderanno consapevoli di cosa guida le nostre reazioni. E così pure i sogni, in questa fase, hanno il compito di ampliare la nostra visione, di creare nessi associativi e porci domande su di noi. La ricerca continua ci farà comprendere che quel "sono fatto così” non è frutto di un lavoro, di un’autocostruzione, ma è solo un corredo creatosi dall’interazione tra noi e l’ambiente esterno, in particolare tra noi e i nostri genitori. Non a caso il primo viaggio è detto personale, esso infatti fa emergere l’Io dall’inconscio personale, gli procura forti braccia e uno spesso tronco. Per alcuni il viaggio terminerà a questo punto. Per altri, invece, potrà proseguire, per coloro che lo desiderino e ne abbiano le forze si aprirà la strada ad un secondo viaggio, detto transpersonale, di matrice junghiana. A questo punto si aprono quattro possibili scenari di cui solo uno, il quarto, è salutare. Secondo la prospettiva junghiana, come ci ricorda Mario Trevi * nell'introduzione a l'Io e l'inconscio, l'io a confronto con l'inconscio ha infatti quattro possibilità. La PRIMA è di essere inghiottito dall'inconscio e, perso nei suoi meandri, di far regredire l'individuo a una vita psichica arcaica (dal punto di vista del gergo psichiatrico questo stato è definito psicotico). La SECONDA è di ergere, una volta sfiorato l'angoscioso incontro, alte mura difensive che impediscono il passaggio rigenerativo e trasformativo dell'inconscio (questo stato corrisponde a un apparente adattamento: entro gruppi e idee precostituite, lontano dall'"altro da sè", l'individuo trova la sua "sicurezza" ma non la sua felicità). La TERZA è che l'incontro abbia luogo e anche in modo proficuo, ma esso non riesca a dar luogo a una genia, ovvero a opere e "figli": l'io si avvantaggia dell'incontro ma, non addestrato al sacrificio, si rifiuta di impegnarsi nella costruzione di un "terzo" (è lo stato nel quale l'individuo è narcisisticamente ripiegato su sè stesso, dell'uomo Peter Pan o della donna sirena che si identifica e incarna una figura d'anima). La QUARTA possibilità, l'unica evolutiva, è quella dell'individuazione. Il secondo viaggio psicodialettico vuole dare all'individuo questa quarta possibilità: di un dialogo tra io e inconscio che non sia solo "ricreativo", o riposante per l'io, ma generatore di qualcosa di nuovo, di cui l'io si assume la responsabilità.
* Si fa riferimento al testo l'Io e l'inconscio di C.G.Jung, edito da Bollati Boringhieri, 1985, in cui appare in apertura l'introduzione di Mario Trevi.
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